domenica 24 giugno 2012

Tempio civico dell'Incoronata - complesso


Indirizzo: Via Incoronata 25- Lodi (LO)

Tipologia generale: architettura religiosa e rituale

Tipologia specifica: chiesa

Uso attuale: intero bene: tempio civico

Uso storico: intero bene: destinazione originaria

Epoca di costruzione: 29 maggio 1488 - 1489


Autore:
Battagio Giovanni, progetto;
Dolcebono Giovanni Giacomo, costruzione / progetto campanile;
Ambrogio da Fossano detto Bergognone, decorazione interno;
Maggi Lorenzo, costruzione campanile;
Gerolamo da Comazzo, decorazione;
Pedoni Cristoforo, costruzione pavimento;
Piazza Cesare, Piazza Callisto, Piazza Scipione, decorazione interno;
Fontana Carlo, costruzione abside;
Legnani Stefano, decorazione coro e abside;
Lanzani Andrea, decorazione coro e abside;
Della Chiesa Giovanni, decorazione interno;
Brambilla Ferdinando, decorazione secondo ordine;
Lorenzini, rifacimento fregi;
Caremi Antonio, rifacimento fregi;
Madorati G., restauro dipinti;
Truzzi Afrodisio, progetto completamento facciata;
Della Chiesa Matteo, decorazione interno;
Piazza Martino, Piazza Albertino, Piazza Fulvio, decorazione interno;
Bignami Osvaldo, decorazione portico.


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Comprende:

Tempio civico dell'Incoronata, Lodi (LO)
Sacrestia (ex) del Tempio civico dell'Incoronata, Lodi (LO)
Sacrestia del Tempio civico dell'Incoronata, Lodi (LO)
Palazzo del Monte di Pietà, Lodi (LO)


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Configurazione strutturale: L'edificio è a pianta ottagonale, con sette cappelle 

a pianta trapezoidale e una cappella maggiore cruciforme, tutte sormontate da

un matroneo. Le pareti sono in laterizio; la copertura è costituita da una

cupola ottagonale, il cui estradosso è nascosto da un tetto in piombo. Alla

facciata è addossato un portico ottocentesco a tre arcate, sormontato da una

loggia a sei arcate e affiancato a sinistra da un campanile a cinque piani.



Descrizione

Scrigno sontuoso, esuberante di ornati all'interno, chiuso esternamente nella lucida sobrietà del prisma ottagonale, il tempio lodigiano si pone come episodio di fondamentale significato architettonico nell'ultimo Quattrocento lombardo, per il fatto di tradurre, in forme pienamente rinascimentali e attraverso la mediazione bramantesca, la semplicità strutturale e la densa simbologia delle piante centrali paleocristiane, così ricorrenti nella Milano del tempo di Ambrogio, ma anche nei battisteri romanici lombardi.

L'esterno dell'edificio, per l'esaltazione della nuda massa muraria scandita dalla sequenza orizzontale dei piani, sembra confrontabile con il tiburio di S. Maria dei Miracoli presso S. Celso a Milano, riconducibile al Dolcebuono.
Il volume compatto dell'ottagono è strutturato in verticale dallo slancio dei pilastri piegati a libro, riequilibrato dalla copertura piramidale a falde che culmina nella lanterna e si raccorda alla severa massa muraria sottostante per mezzo della fine invenzione della balaustra, aerea struttura a colonnine ed eleganti pinnacoli angolari.
All'interno del tempio sono molteplici i richiami alla bramantesca sagrestia di S. Maria presso S. Satiro, nella sequenza delle cappelle trapezoidali, uguali fra loro, aperte su ciascun lato dell'ottagono di base; nella ricerca dell'effetto illusionistico di profondità attraverso l'ardito scorcio dei cassettoni nelle volte a botte della cappella; nelle paraste piegate 'a libro' che inquadrano gli arconi delle cappelle stesse e le bifore del secondo ordine;

negli oculi posti alla base della cupola e nelle lunette di fondo delle cappelle; infine nei tondi modellati con intense teste in terracotta dipinta, collocati nelle vele degli archi di ingresso alle cappelle, opera probabile del De Fondulis.
Il rigore metrico della struttura, ammorbidito dall'uso sapiente degli effetti luministici e dal dinamismo indotto dall'ampliamento illusionistico dello spazio delle cappelle, qualificano l'interno del tempio al pari dello straordinario apparato decorativo, solo in parte originario ma frutto di un progetto fortemente unitario e spiccatamente orientato in senso 'moderno'.

Il recente recupero e restauro dell'immagine miracolosa della Vergine che fu all'origine della costruzione ha consentito di ipotizzare che l'opera sia stata radicalmente ripensata in occasione del trasferimento sull'altar maggiore della chiesa, avvenuto nel 1494. È possibile che tale prestigioso intervento rientrasse nel progetto decorativo per l'interno della chiesa che fu affidato nel novembre del 1497 ad Ambrogio Bergognone. La cappella maggiore dell'Incoronata veniva così a configurarsi come uno dei più prestigiosi complessi decorativi della Lombardia rinascimentale.
Incentrate, come già detto, sulla figura di Maria e sul tema dell'Incarnazione di Cristo, le tavole bergognonesche offrono una perfetta sintesi stilistica di cinquant'anni di Rinascimento in Lombardia, per le forti radici foppesche, l'eredità ormai matura di quel naturalismo affettuoso e intimistico che aveva caratterizzato il ventennio precedente, le molte tangenze con l'esperienza franco-fiamminga, e per la chiara apertura nella direzione di quel pacato classicismo che, nell'ultimo decennio del Quattrocento, un po' in tutta Italia, precede, annunciandoli, gli imminenti sviluppi della 'Maniera moderna'.


L'attività quarantennale di Callisto Piazza, rientrato a Lodi nel 1529 dopo il lungo soggiorno bresciano, qualificò profondamente l'assetto decorativo dell'Incoronata, determinando quella sostanziale omogeneità visiva che tuttora permane; tale fatto testimonia di una precisa volontà dei Fabbricieri dell'Incoronata ad aggiornare rapidamente la decorazione dell'edificio sulla base delle più moderne tendenze della pittura settentrionale.
I lavori di fine Seicento, relativi in particolare alla zona del coro, si configureranno infatti come una delle prime occorrenze lombarde del gusto rococò.


Sopra il matroneo corre la cornice dorata su cui si imposta la cupola, la cui costruzione risale agli anni dal 1491 al 1493. La decorazione della cupola è più volte mutata nei secoli: inizialmente fu affrescata, almeno in parte, da Giovanni Della Chiesa, ma di questi primitivi affreschi, che risalgono al 1493 non si sa nulla.

In seguito, nel 1616, grazie ad un lascito testamentario del nobile lodigiano Andronico Ponteroli la cupola fu ridipinta e dorata in un pesante stile barocco, stile che però, secondo il rinnovato gusto ottocentesco, parve in contrasto con le pure linee rinascimentali di tutta la chiesa.

Così nell'Ottocento si pensò di eliminare le sovrastrutture barocche e di ridipingere gli spicchi della cupola in uno stile più sobrio. La nuova decorazione fu affidata al pittore bergamasco Enrico Scuri che nel 1840 concepì per gli otto spicchi la gloria dei sette Santi lodigiani e l'Incoronazione della Vergine in corrispondenza dello spicchio che sovrasta l'altar maggiore.

In corrispondenza dell'ottavo della cappella della Passione è affrescata la gloria dei Santi Naborre e Felice.

In corrispondenza della cappella di Sant'Antonio è affrescata la gloria di Sant'Alberto Quadrelli.

In corrispondenza dell'ottavo della cappella della cantoria è affrescata la gloria del Beato Jacopo Oldo.

In corrispondenza dell'ottavo dell'ingresso principale è celebrata la gloria di San Bassiano, cui è dedicata la vela di fronte all'Incoronazione, per celebrare l'importanza del primo vescovo di Laus Pompeia e la devozione dei cittadini per il loro Patrono.

In corrispondenza della cappella dell'organo è rappresentata la gloria della Santa Lucrezia Cadamosti.

In corrispondenza dell'ottavo della cappella di San Paolo è rappresentata la gloria di San Giovanni di Lodi.

In corrispondenza della cappella di San Giovanni Battista è rappresentata la gloria di Santa Savina dei Tresseni.

La base della cupola è divisa in due fasce finemente decorate; nella seconda si aprono coppie di oculi alla base di ogni spicchio.

Le decorazioni riprendono lo stile di quelle originarie del primo ordine, con decori dorati su fondo blu, mentre anche gli spicchi sono divisi da fasce che si assottigliano verso l'alto, piegate a libbro, come le paraste del primo e del secondo ordine, ornate da una teoria di candelabre dorate su fondo blu lapislazzulo.

Le fasce si collegano nella sommità della cupola agli otto spigoli di un ottagono a rilievi dorati che fa da base alla lanterna.
Notizie storiche

Avvenne dunque, nel settembre 1487, che un'immagine affrescata della Madonna, posta sul muro esterno di una casa di via Lomellini, nel centro medievale della città, parlasse, ammonendolo, al frequentatore di una vicina casa di piacere e che, qualche giorno più tardi, guarisse miracolosamente un nobile lodigiano.
L'anno seguente, 1488, ottenuto il consenso del vescovo Carlo Pallavicino e del duca di Milano Ludovico il Moro, i lavori iniziarono con lo sgombero dell'area e la posa della prima pietra del santuario. In realtà da almeno un decennio il consiglio comunale andava manifestando la volontà di 'bonificare' il centro cittadino in modo che "el loco disonesto qual è sopra la piaza, e si può dire nel più bel transito della città, per più honestade sia tolto via, et posto in altro luoco più comodo et apto ad simile cosa". Venne così a determinarsi la spinta necessaria alla costruzione del maestoso tempio, la cui direzione fu affidata al lodigiano Giovanni Battagio. Nell'aprile 1489, dopo un collaudo delle strutture di fondazione condotto da Gian Giacomo Dolcebuono e Lazzaro Palazzi, il Battagio fu misteriosamente allontanato dal cantiere, la cui direzione passò allo stesso Dolcebuono, che condusse la fabbrica a completamento in tempi assai veloci, ultimando la cupola nell'aprile 1491.
Il primo intervento decorativo all'interno del tempio fu, nel gennaio 1494, il solenne trasporto dell'affresco miracoloso della Vergine, collocato sull'altar maggiore. Una conferma delle forti istanze civili e sociali che, nella vicenda costruttiva del santuario lodigiano, si intrecciarono ai significati religiosi e devozionali, venne dall'istituzione di una Scuola o Confraternita dell'Incoronata (1497) e dalla fondazione, nel 1512, da parte della Scuola stessa, del Sacro Monte di Pietà, che ebbe sede in ambienti attigui alla chiesa.


A partire dal 1496 e per tutto il primo ventennio del Cinquecento il responsabile tecnico della fabbrica è l'ingegnere lodigiano Daniele Gambarino, impegnato in opere lignee e murarie di non rilevante entità, mentre per la progettazione dello snello campanile viene richiesta la consulenza del Dolcebuono (1501). L'ultimo tratto della vicenda costruttiva rinascimentale dell'Incoronata prevede, entro la metà del Cinquecento, la conclusione del lungo iter realizzativo della balaustra esterna in marmo chiaro, detta anche 'ghirlanda'.

Frattanto, a partire dagli ultimi anni del Quattrocento, l'interno cominciava a essere decorato dal Bergognone e da Antonio Raimondi; entro il sesto decennio del Cinquecento l'attività feconda della bottega dei Piazza avrebbe rapidamente completato la sontuosa veste policroma dell'edificio. Se gli interventi seicenteschi (in particolare l'apertura di un lato dell'ottagono in corrispondenza dell'altar maggiore per la creazione del coro) non alterarono nella sostanza l'originario impianto architettonico e gli equilibri spaziali del tempio, il suo attuale assetto interno - specie nella parte della cupola e del matroneo - e alcuni elementi esterni come la facciata su strada e la lanterna sono invece il risultato delle radicali trasformazioni operate, tra accese polemiche, nel corso dell'Ottocento, sotto la direzione dell'architetto della Fabbrica del Duomo di Milano Pietro Pestagalli. Tra il 1989 e il 1995 Rosa Auletta Marrucci ha diretto un ciclo di lavori finalizzati alla conservazione dell'intero organismo architettonico, nelle sue parti originarie come in quelle di restauro.

L'organo fu costruito nel 1507 da Domenico Di Lorenzo da Lucca, i fratelli Daniele e Leonardo Gambarino realizzarono e dorarono la cornice lignea. Le ante che sono di Matteo Della Chiesa, rappresentano aperte: Madonna col Bambino e Santa Caterina d'Alessandria; chiuse i patroni di Lodi: San Bassiano e Sant'Alberto Quadrelli.

Orari di apertura
Tempio dell'Incoronata

Indirizzo: Via Incoronata, 25 - 26900 Lodi
Telefono: 0371/51083
Apertura: dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 15.30 alle 18.00.
Messe feriali, domenica e festivi: 11.30 (i turisti devono uscire dal tempio dieci minuti prima dall'inizio funzione).
Ingresso: gratuito

S. Maria Incoronata, Lodi
Il bellissimo santuario dell'Incoronata costituisce la prima trasposizione fuori Milano del tipo della rotonda ottagonale con cappelle, proposto da Bramante nella piccola sacrestia di S. Maria presso S. Satiro, in un edificio ecclesiastico compiuto. Costruito in tempi rapidissimi - tre anni dopo la posa della prima pietra (1488) veniva voltata la cupola - dimostra l'intraprendenza e la vitalità economica della comunità lodigiana (legata in gran parte alla produttività delle campagne), ansiosa di trovare spazi di au-tonomia nella sudditanza politica ai duchi di Milano. Gli eventi da cui scaturì la fondazione ricalcano un copione ricorrente in questi anni: nel 1487 un'effigie della Vergine dipinta su una casa nel denso centro cittadino, redarguiva un frequentatore di un postribolo lì annidato e pochi giorni dopo guariva prodigiosamente un nobile lodigia-no infermo.

La scelta di liberare il sito per costruire un tempio dedicato a Maria fu immediata e nell'arco di un anno, ottenuto il consenso del vescovo Pallavicino e di Ludovico il Moro, iniziarono i lavori secondo il progetto del lodigiano Giovanni Bat-tagio (attivo a Milano dal 1465 come scalpellino e dal '74 ingegnere ducale). Sostitui-to il Battagio nel 1489 con Gian Giacomo Dolcebuono per errori nella costruzione non meglio precisati (che non dovettero comportare un mutamento del progetto), già nel '94, quando fu trasportato l'affresco sull'altare, l'interno cominciava ad essere decorato da Antonio Raimondi e da Ambrogio Bergognone; entro il sesto decennio del Cinquecento, grazie all'attività continuativa della grande bottega lodigiana dei Piazza - da Martino al brillante Camillo - la chiesa doveva essere completamente rivestita.


Difetti della copertura porteranno a rifare più volte la decorazione della cupola e del loggiato, che risale in definitiva al pieno Ottocento; la galleria fu ricondotta allo "stile bramantesco" sulla base della veduta interna della chiesa contenuta nella bellissima Presentazione al Tempio del Bergognone (cappella di S. Paolo). Se l'impianto S. Maria dipende senz'altro dalla "riscoperta" dei battisteri tardo romani e romanici lombardi, per le proporzioni slanciate e per la definizione del paramento architettonico interno Battagio si ispirò direttamente all'interpretazione bramantesca dei modelli antichi: le paraste piegate che inquadrano gli archi delle cappelle e le bifore, i tondi con le teste di terracotta dipinta (forse opera del cognato Agostino de' Fon-dutis), gli "occhi" alla base della cupola e nelle lunette di fondo delle cappelle guardano direttamente alla già citata sacrestia milanese; anche la ricerca di un effetto di maggiore profondità degli sfondati, compresi nello spessore murario forse per problemi di spazio, attraverso l'espediente illusionistico delle volte a botte strombate rivestite da cassettoni di dimensione decrescente è stata certamente ispirata dal noto coro prospettico del medesimo santuario milanese (mentre le bifore su colonnine della galleria appartengono ad un gusto decorativo più spiccatamente lombardo).




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Fonte: http://temi.provincia.mi.it/bramante/schede_lombardia/scheda3.html
Fai un tour virtuale del Tempio dell'Incoronata all'indirizzo internet:  http://www.incoronata.eu/

Sacrestia del Tempio civico dell'Incoronata

Indirizzo: Via Incoronata 25 - Lodi (LO)

Tipologia generale: architettura religiosa e rituale

Tipologia specifica: sacrestia

Epoca di costruzione: ca. inizio sec. XVIII

Condizione giuridica: proprietà Ente pubblico territoriale



La sacrestia

Gli arredi lignei, particolarmente preziosi per il fine decoro delle cimase, sono opera di Antonio Rotta.


Al 1744 risale la decorazione della sacrestia nuova della chiesa dell'Incoronata, con mazzi di fiori colorattissimi inclusi in finte conchiglie di marmo.



In sacrestia c'è un quadretto appeso nella parte alta della parete nel quale è esposto un manoscritto dove non mi è stato possibile verificare la data di compilazione.




(a lato è riportato il testo del manoscritto)

Chiesa della B. Vergine
Incoronata
Giorni che comportano servizio d'organo e presenza
del secondo chierico alla S.Messa delle 11.30 e se-
guente S.Benedizione:
1- In tutte le domeniche e feste di precetto durante
l'anno; nel giorno di S.Bassiano, dei Morti e S.Stefano.
2-Nei mesi di Maggio e di Ottobre.
3-Nei giorni di: S.Carlo Eremita. S.Antonio A. Sposalizio
di M.V. Conversione di S.Paolo. Purificazione di M.V.
Annunciazione. Lunedì di Pasqua. Patrocinio
di S.Giuseppe. S. Croce di Maggio. Sacro Cuore di Gesù. Na-
tività di S.Giov.Battista. Visitazione di M.V. Sant'Abate.
Sant'Anna. Madonna della neve. Decollazione
di S.Giovanni. Santa Croce. Madonna del Rosario.
Santa Caterina. Ultimo giorno dell'anno.
Il servizio d'organo vi sarà pure alle S. Messe Festive delle 9.45.delle 10.45 e delle 13 nelle solennità della: Circoncisione, Epifania, San Giuseppe. Pasqua. Pentescoste, San Pietro e Paolo, Assunta, Ognisanti, Immacolata, S.Ntalale.                                          I Rev.di Signori Cappellani hanno l'onere della S.
                                                  Messa festiva anche nei giorni: di S.Bassano, dei morti
e di Santo Stefano.




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Fonte:
http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1n040-00090/

martedì 12 giugno 2012

El Gabon de Arcagna

Arcagna il cui nome significa “luogo alto sull’acqua”è frazione di Montanaso dista sette chilometri da Lodi in direzione di Zelo Buon Persico.
Il nome ricorre più volte negli antichi documenti dal 1148 in poi.
Fu “villa “ infeudata alla corte di Galgagnano, allora sede vescovile, confermata dal Barbarossa e successivamente dall’imperatore Arrigo VII nel 1311.
Si ha memoria di un “lago” di Arcagna nel 1361 , sicuramente una palude del lago Gerundo.
Sul principio del secolo XIV, unitamente a Gamorra e Montanaso era annessa al monastero di S.Giacomo di Pontida.
Nel 1600 era commenda degli Olivetani di Villanova col nome di Arcagna Eugenia.
Ad Arcagna dietro la chiesa parrocchiale c’era un castello ove ebbe sede una congregazione di religiose Salesiane che officiarono nell’antica Chiesa, divenuta parrocchiale nel 1602.
La chiesa attuale, intitolata all’Assunzione di Maria , fu eretta nel 1628 e dal 1649 ospita l’immagine della Madonna, detta di Arcagna, oggetto di culto speciale e di pellegrinaggi. Il 26 aprile di ogni anno si tiene la cerimonia in memoria del ritrovamento della sacra immagine avvenuto nei pressi del “Gabon” ( il termine ''gabon''nel dialetto lodigiano indica una grossa pianta con il tronco tagliato a una altezza dai due/tre metri), vecchio olmo che sorge vicino alla strada provinciale di Paullo.


Tromba d’aria abbatte il “Gabon”


Lunedì 11 giugno 2012, ore 17.15: una tromba d’aria lambisce Montanaso e spezza e abbatte il Gabòn di Arcagna, l’olmo secolare (360 anni di anzianità secondo alcuni botanici) indissolubilmente legato all’immagine miracolosa della Madonna ritrovata il 26 aprile del 1649 in un campo della cascina Pantanasco.

 Un affresco di epoca sconosciuta il cui ritrovamento coincise con la fine di un temporale durato due settimane e con il ritorno della parola al parroco, muto da due anni. Attorno a quell’affresco, ora restaurato, è nato il santuario di Arcagna. L’olmo invece, ricorda ora il parroco di Montanaso e Arcagna don Stefano Grecchi, forte della memoria dei suoi fedeli, arriva qualche secolo dopo. Faceva parte del filare che correva lungo la strada ora provinciale. Era caduto, morto, e un contadino l’aveva adagiato su un campo a Pantanasco. Inspiegabilmente, con le radici all’aria, mise foglie e fiorì. E così fu posizionato a fianco della provinciale, e in un buco del tronco è stata poi collocata una piccola copia dell’effigie della Madonna di Arcagna. A pochi metri c’è un’edicola votiva, solida e austera, ma la vera protagonista resta la Madonnina nell’olmo. Proprio pochi centimetri sopra la teca in metallo che protegge l’immagine, ieri l’albero si è spezzato. Per un ampio tratto era un semicilindro vuoto, ma di legno vivo e vitale, che si è autoprotetto dall’esterno dai parassiti con una scorza dura. «Soffriva, come tantissimi olmi padani, di graffiosi - constata lo studente di agraria Marco Mizzi di Montanaso - ma era un caso particolare: al suo interno dei fitoplasmi contrastavano questo fungo, e mantenevano la pianta vitale».

Il Gabòn è spezzato, ma non è morto: l’agricoltore Orsini, che come i suoi avi coltiva il podere Pantanasco, si è già candidato per mettere a dimora la pianta spezzata. Sperando che il miracolo si ripeta. Due cloni sono già da tempo nelle mani di Mizzi e del suo professore di agraria Daniele Bassi. E poi il piede del Gabòn è ancora al suo posto: «Ci sono già due bei getti vitali», constatano i residenti di Arcagna. Si tratta solo di aspettare e l’antico olmo prenderà forma. E forse di Gabòn ce ne sarà più di uno. Recentemente erano stati posizionati alcuni supporti in ferro per sostenere il Gabòn, «ma la massa di foglie era notevole, per le condizioni della pianta», annota un agente della Forestale di Lodi, subito intervenuta assieme al Consorzio di polizia locale Nord Lodigiano e ai vigili del fuoco. In zona, anche un semaforo piegato e rami spezzati. «C’è stata una tromba d’aria - constata preoccupato il sindaco Luca Ferrari, tra i primi al capezzale del Gabòn -. Questa è un’enorme ferita per la nostra tradizione. Ma faremo di tutto perché Arcagna non resti senza questo albero». Quando recentemente è stata rettificata la provinciale Lodi - Zelo, la Provincia aveva dovuto variare il tracciato per salvaguardare l’albero, censito come monumentale. Il parroco riunirà il consiglio pastorale, ma come l’affresco riaffiorò sotto un aratro e l’albero creduto morto fiorì all’improvviso, è già chiaro per tutti che il Gabòn, con i suoi ex voto e le coroncine del Rosario tra i rami, si è spezzato per insegnare a tutti che si deve rinascere. (Carlo Catena)



L’antico Gabòn rinascerà
Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo, non può nascere nulla di perfettamente dritto. Lo diceva il filosofo Immanuel Kant accostando le curve del tronco di un albero alla storia dell’umanità. Nelle anse del secolare Gabòn di Arcagna, nelle linee curve disegnate dalle fronde, si sono intrecciati umano e divino, storie di uomini e di fede. Un connubio da cui è nata una devozione intensa e leggendaria. E la tromba d’aria che lunedì ha abbattuto l’olmo, squarciandone completamente il tronco, non ha scritto la parola fine. Il Gabòn continuerà a vivere. Accanto alla pianta, oggi ferita a morte e transennata, ci sono già tre germogli che superano i due metri. Ieri mattina, il comune ha effettuato un nuovo sopralluogo insieme al professor Daniele Bassi del dipartimento di produzione vegetale dell’Università di Milano, anche sovrintendente dell’azienda agricola Francesco Dotti. «Ci hanno spiegato cosa fare per conservare al meglio questi “figli” - spiega il sindaco di Montanaso, Luca Ferrari - : il tronco invece sarà svuotato del cemento e dei mattoni che conteneva nella parte morta e con il legno saranno realizzate delle sculture che resteranno come memoria e testimonianza di quello che ha significato il Gabòn per Montanaso». Sul suo tronco, infatti, riposava la riproduzione della sacra effige della Madonna ritrovata il 26 settembre 1649 in un campo della cascina Pantanasco durante un’aratura con i buoi. Un episodio che coincise con la fine di un temporale durato due settimane e con il miracoloso caso del parroco di allora, don Baldassarre Burlotti, che ritrovò la favella dopo essere rimasto in silenzio per due lunghi anni. Nella storia del paese, la tradizione racconta che, trascorsi molti anni, si fosse anche deciso di sradicarlo per darlo alle fiamme, ma non che non si trovò nessuno disposto a farlo. Erano tutti troppo devoti allo storico olmo proprio per il legame indissolubile con la riproduzione del volto di Maria. Nella storia del comune si racconta che il Gabòn venne comunque sradicato, trasportato a Pantanasco e deposto sull’aia. E che qui, le sue radici, in primavera, si ricoprirono di gemme. Un segno che venne interpretato come un’intercessione della Madonna e che convinse la comunità, «con reverente timore» si legge nelle cronache, a riportarlo nella sua precedente sede. Dopo la violenta tromba d’aria di lunedì, l’immagine della Madonna è nelle mani di don Stefano Grecchi, ma l’intenzione di farla tornare al più presto lì, vicino alle radici del Gabòn. «Costruiremo una nuova edicola votiva proprio a fianco dell’albero e lì verrà sistemata l’immagine sacra - ha precisato ancora il sindaco - : intanto confidiamo nelle sperimentazioni del professor Daniele Bassi e del giovane Marco Mizzi di Montanaso, che sta scrivendo una tesi di laurea sul Gabòn e sta facendo crescere altri due “figli” del Gabòn in laboratorio». Non è il primo tentativo. Nella storia lunga 360 anni del Gabòn, altri hanno provato a riprodurlo, sempre senza successo. Ci riproverà anche Francesco Orsini, coltivatore che riporterà un ramo del Gabòn a cascina Pantanasco. In quel punto, però, dell’ombra del Gabòn già si sente la mancanza. (Rossella Mungiello)
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Fonte:
www.comune.montanaso.lo.it
ww.ilcittadino.it

domenica 3 giugno 2012

Villa Litta Carini


Indirizzo: Via Montemalo, 18 (Nel centro abitato, in posizione dominante) - Orio Litta (LO)
Autore: Ruggeri Giovanni, ampliamento; Maggi Pietro, decorazione.


Il paese di Orio Litta sorse su un territorio paludoso bonificato grazie ai Benedettini di San Pietro in Lodivecchio a partire dall'885, e fu coinvolta nelle lotte tra i comuni lombardi e l'impero; divenuta feudo dei Lampugnani (1375), passò in mano a varie famiglie, fino ad arrivare ai Cavazzi che, nel 1700, portarono il paese a grande splendore.

Epoca di costruzione: 1726 - 1749

In età napoleonica (1809-16) al comune di Orio furono aggregate Cantonale e Corte Sant'Andrea, ridivenute autonome con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto.
Nel 1863 Orio assunse il nome ufficiale di Orio Litta, per distinguersi da altre località omonime.
Il corpo principale prospetta sulla corte d'onore e sul giardino assiale.
Le due ali sono raccordate al corpo trasversale da una risega e terminano con due avancorpi, l'oratorio e la portineria, collegati da una cancellata monumentale.


Due cortili di servizio dalla planimetria irregolare affiancano, a est e ad ovest, la corte d'onore.
Il giardino si estende a sud superando il dislivello del terrazzamento con gradoni raccordati da scalee.

Il nome deriva probabilmente da "horreum" o "hordeum", termini legati al grano (infatti indica il granaio), e dalla famiglia Litta.


 La costruzione del corpo centrale dell'edificio, che presenta una disposizione dei corpi ad U, è fatta risalire alla seconda metà del XVII secolo per opera del conte Antonio Cavazzi della Somaglia.
Il Palazzo, commissionato al noto architetto Giovanni Ruggeri, doveva essere la manifestazione della ricchezza e dell' importanza acquisite dalla famiglia Cavazzi in quel periodo.
Alla sua morte, nel 1688 il conte lasciò la Villa in eredità al pronipote Paolo Dati che assunse il titolo di conte Antonio della Somaglia.
Paolo Dati attuò l'ampliamento del palazzo di Orio, trasformandolo in una reggia maestosa destinata a luogo di villeggiatura e incontro di grandi personaggi della letteratura e cultura italiana settecentesca.


I lavori di ampliamento terminarono nel 1749 dopo la morte del conte, avvenuta nel 1739, durante la proprietà del figlio Già Batta Antonio Somaglia, avuto dalla seconda moglie la contessa Camilla Visconti.

La data 1749 è impressa sulla statua di ferro definita "dio del tempo" o "angelo della morte" posta sulla sommità della parte centrale del palazzo. La statua raffigura un personaggio alato impugnante una falce e una campana che permettevano il battere delle ore, essendo collegati al meccanismo dell'orologio sottostante.

[ sopra l'orologio, c'è il cosiddetto Angelo della Morte]

Nel XVIII secolo la Villa era costituita dal corpo centrale ampliato che racchiudeva la corte d'onore, da una corte rustica, da un cortile triangolare e dal cortile degli scudieri, tuttora esistenti. Il complesso era autosufficiente grazie all'apporto di decine di servitori e di famiglie a servizio.

Nella struttura vi erano cucine, lavanderie, granai, pollaio, deposito del carbone, legnaia, scuderie, cavallerizza, fienile, cantine, agrumarie, magazzini per la frutta, orti, vigna, macelleria e ghiacciaia.


Senza dubbio, però, le parti di maggiore fascino erano quelle riservate agli appartamenti del proprietario e degli ospiti che comprendevano il salone delle feste, il teatro, la sala biliardo, l'oratorio, lo scalone d'onore; ambienti affrescati e riccamente arredati. Da non dimenticare i giardini che si estendevano nel retro della Villa, con mosaici e ninfei sino a raggiungere un attracco per le barche sul Po. Il Palazzo restò proprietà della famiglia Dati Somaglia fino al 1824 quando, per l'impossibilità di mantenerlo a causa dei numerosi debiti, fu venduto all'inglese sir Richard Holt. Quest'ultimo insediò nella Villa e nel paese alcune filande, trasformando la cavallerizza in fabbrica. L'inglese accumulò molti debiti e alla morte nel 1847 la proprietà fu passata al suo maggiore creditore il conte Giulio Litta.



La famiglia Litta Visconti Arese portò nuovamente il palazzo agli onori della vita mondana. Dai racconti degli abitanti del paese, si apprende che la villa fu frequentata da re Umberto I, Giacomo Puccini e altri illustri personaggi del tempo.
Purtroppo, ancora una volta, i gravi debiti contratti portarono alla vendita del Palazzo che aveva nel frattempo assunto il nome di Villa Litta.
Nel 1897 il figlio del conte Giulio Litta, il duca Pompeo Litta Visconti Arese vendette la proprietà a Guido Corti, che già da qualche tempo amministrava questi beni.



I problemi economici delle varie famiglie di cui abbiamo parlato, hanno portato ad un graduale spoglio e ad un uso non sempre consono della Villa. Basti pensare che il penultimo proprietario Federico Colombo la adibì all'allevamento d'animali di vario genere e a magazzino per il grano.





 Nel 1970 Villa Litta fu acquistata dalla famiglia Carini, gli attuali proprietari, che hanno iniziato un lento, graduale recupero del palazzo oggi vincolato dalle Belle Arti come bene storico e artistico nazionale.
Negli ambienti visitabili della Villa si possono ancora vedere gli splendidi affreschi attribuiti al Maggi e alla sua scuola, gli arredi d'epoca, l'imponente scalone d'onore.
Suggestiva è la visuale che offrono i giardini terrazzati sulla campagna circostante.



































































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Fonte:
www.villalitta.it
wikipedia.org/wiki/Orio_Litta