sabato 26 maggio 2012

Cimitero di Riolo - complesso

Indirizzo: Strada Provinciale per Bergamo alla frazione Riolo di Lodi (LO) 

L'illustre scienziato pavese Paolo Gorini che scelse Lodi per i suoi studi; un primo forno goriniano venne edificato presso il cimitero di Riolo nel 1877 e nella notte fra il 5 e il 6 settembre dello stesso anno si compì la prima cremazione.

Facciata del forno crematorio
di Paolo Gorini
Molti cimiteri adottarono il forno goriniano, che venne edificato a Milano (1877, arch. Carlo Maciachini), Cremona (1883, ing. Francesco Podestà), Roma (1883, ing. Salvatore Rosa), Varese (1883, arch. Augusto Guidini), Torino (1888, arch. Pompeo Mariani). Venne inoltre adottato a Londra (cimitero di Woking, 1888, ing. Turner) e a Parigi (cimitero Pére Lachaise, 1887, arch. Formigé).
Come lo stesso Paolo Gorini sottolineava nella sua lettera a Olioli, il metodo di distruggere il corpo nel misterioso «liquido plutonico» era efficace, ma molto costoso.
Così, lo scienziato sperimentò un nuovo sistema di distruzione dei cadaveri attraverso la combustione, progettando il primo forno crematorio moderno, grazie al quale incontrò un successo insperato.
Lato opposto della facciata del forno ed ingresso
 Lo stesso scienziato scriveva: «rassegnatomi quindi a non contare se non sui limitatissimi mezzi di cui fino allora aveva potuto valermi, continuai tranquillamente i solitarii miei studii, applicandomi principalmente alla questione dell'incenerimento dei morti. Investito difatti come io ero, solo fra tutti i figli della penisola, della straordinaria facoltà di disporre liberamente di una copia illimitata di cadaveri, avevo [...] sentito, che a me [...] incombeva l'obbligo di studiare sperimentalmente quel problema».

La leggenda dice che l'invenzione del forno crematorio da parte di Gorini avvenne dopo che ebbe abbandonato l'idea della conservazione dei corpi. Resta celebre una battuta del Gorini stesso: lo scienziato infatti sosteneva che se avesse continuato a pietrificare cadaveri presto i morti avrebbero sopravanzato i vivi. Al di là dell'umorismo nero del Gorini, molti allora morivano per gravi malattie o epidemie, quindi c'era la necessità di evitare la propagazione delle infezioni.

Anni di lavoro e di studi instancabili spesi sulla conservazione delle sostanze organiche, convinsero Gorini che il suo metodo di pietrificazione, molto costoso, non avrebbe potuto avere che rare applicazioni. Inoltre, con un'ironia sui generis, lo scienziato sosteneva che se si fossero pietrificati e conservati tutti i cadaveri, presto i morti avrebbero sopravanzato i vivi. Così, sul principio degli anni Settanta del XIX secolo, spinto dall'invito ripetuto di Agostino Bertani e di Gaetano Pini, Paolo Gorini affrontò la questione della cremazione. A muovere Gorini in questa nuova avventura scientifica, era la consueta repulsione nei confronti della decomposizione. Lo scienziato scriveva: «quanto poi succede nella sepoltura è senza confronto più tristo e più ributtante di ciò che sarebbe accaduto al cadavere lasciato sopra la terra; e lo strazio di quelle misere carni dura, come si è fatto notare, un tempo lunghissimo […]. È una cosa orribile il rendersi conto di ciò che succede al cadavere allorché sta rinchiuso nella sua prigione sotterranea. Se attraverso un qualche spiraglio si potesse gittare là dentro uno sguardo, qualunque altro modo di trattamento dei cadaveri si giudicherebbe meno crudele, e l'uso del seppellimento sarebbe irremissibilmente condannato». Tuttavia, Gorini giunse quasi casualmente all'idea della cremazione:

Uno dei monumenti lapidei più antichi custoditi
nel cimitero (Fam. Cornalba)
Il 9 aprile 1872, mentre teneva al fuoco due piccoli crogiuoli ripieni di materia vulcanica, gli sovvenne di un fatto curioso che più di una volta gli era occorso di osservare, “cioè che gli insetti i quali per accidente erano caduti nel liquido vulcanico incandescente, appena che lo toccavano scomparivano risolvendosi in una lucente fiammella”. Sospettando che ciò potesse succedere con una materia animale qualunque, da un fegato che aveva in laboratorio, da destinare a una delle solite preparazioni, tolse due frammenti e li buttò nei crogiuoletti pieni di materia vulcanica in fusione. Accadde il previsto: appena a contatto del liquido incandescente i pezzi davano origine a una splendente fiammella e si disperdevano in seno al liquido senza lasciare alcuna traccia.

I cimiteri erano, per i fautori della «morte laica», veri ricettacoli di infezioni e poteva essere provato, grazie alle nascenti discipline della batteriologia e della microbiologia, «che il processo della decomposizione poteva causare l'inquinamento dell'acqua e dell'aria nelle aree circostanti i sepolcri». Se l'editto napoleonico di Saint Cloud, del 1804, veniva esteso anche all'Italia due anni dopo la sua promulgazione, riservando gli spazi extra moenia per la costruzione dei cimiteri e promuovendo di fatto la più moderna separazione tra le città dei vivi e quelle dei morti, la cremazione e la sua riscoperta avvennero ad opera dei philosophes dell'Encyclopédie. 
Manufatto bronzeo per luce votiva

La Chiesa poteva comunque vantare l'appoggio di numerosi scienziati, fra i quali si ricorderanno soprattutto Antonio Rota, Olindo Grandesso Silvestri e Silvestro Zinna, vicepresidente della Società degli scienziati napoletana. Tuttavia, fra i molti detrattori spicca soprattutto il nome di Paolo Mantegazza, celebre medico e antropologo, cattedratico a Firenze. Del resto, sono numerose le testimonianze dell'ostilità della chiesa lodigiana verso la figura del Gorini: nel 1851 la rivista «L'Amico Cattolico» lo bollava come pirronista e materialista, nel 1863 le monache di S. Anna rifiutarono a Gorini la permanenza nella casa dove egli abitava e nel 1882 si opposero alla proposta della Giunta municipale di posare sullo stesso edificio la lapide commemorativa dello scienziato. In Italia la cremazione venne approvata e concessa nel 1888 e i Comuni furono obbligati a cedere gratuitamente l'area necessaria alla costruzione dei crematori. 


Camminando sul percorso centrale del cimitero, si possono osservare le lapidi artistiche che le famiglie benestanti fecero costruire per il perenne ricordo post mortem.
 Interessante per il richiamo al periodo liberty è la tomba della famiglia Bussi che vedete nella foto sottostante:


pur avendo cercato il nome dell'autore sul dipinto, non sono in grado di dirvi chi ha decorato nei primi anni del '900 questo Angelo.


In questo cimitero riposano i resti del maestro lodigiano Giuliano Mauri, artista del XX secolo che deve la sua notorietà ai suoi numerosi poetici interventi ambientali, definiti come architetture naturali.
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Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Gorini#Sull.27invenzione_del_forno_crematorio

lunedì 7 maggio 2012

Museo Paolo Gorini





   ...... "I nostri vecchi", scriveva ancora Piera Andreoli nel 1931 - "lo ricordavano come un uomo alto, scarno, con gli occhi profondamente infossati, nerissimi; fronte alta, capelli candidi, lunghi e svolazzanti, barba ondulata e copiosa".    


Per quasi mezzo secolo infatti la figura di Gorini era stata molto popolare e conosciuta nella Lodi del tempo. La collezione Gorini è ubicata nel cuore dell'Ospedale Vecchio, con accesso da via Agostino Bassi 1, nel lato sud del chiostro quattrocentesco.



Il museo Gorini intende portare a conoscenza del pubblico i preparati anatomici, predisposti dall'illustre ricercatore.

La valorizzazione della Collezione Gorini è frutto di un'intesa tra l'Azienda Sanitaria Locale (proprietaria della collezione) e il Comune di Lodi, che ne ha acquisito la gestione, affidando a personale della Pro Loco la vigilanza negli orari di apertura al pubblico, garantendo in questo modo l'accesso stabile e continuativo.

Rinnovata nell'allestimento, la collezione sarà visitabile gratuitamente per tre giorni alla settimana e dietro prenotazione di guide appositamente formate al di fuori del programma orario sotto indicato.

Per l'occasione è stato realizzato anche un nuovo catalogo della collezione, curato dal Prof. Alberto Carli, di cui verrà fatto omaggio ai visitatori; (c'è un articolo del 2008 dedicato al Prof. Carli su "Il Giornale"- per vederlo cliccate quì

Clicca qui per accedere alla pagina del Comune di Lodi e scaricare la Guida Storica alla Collezione Anatomica "Paolo Gorini" (838.54 KB - file pdf).














A ricordo della variegata e singolare sua opera la città di Lodi gli ha dedicato una via, una lapide, una scuola ed una statua eretta in pietra dallo sculture lodigiano Primo Giudici ed inaugurata, dopo lunghe e travagliate vicende, il 30 aprile dell'anno 1899







Secondo di sette fratelli, Paolo Gorini nacque a Pavia il 29 gennaio del 1813, figlio di una giovane donna d'origini lodigiane e di Giovanni Gorini, personalità illustre del panorama culturale pavese, professore di ginnasio prima e docente universitario poi.


Fin dagli anni della loro prima infanzia, Paolo e i fratelli furono educati allo studio costante delle più importanti branche del sapere e fu proprio il giovane Paolo a dimostrarsi molto intelligente e "curioso" del mondo: frequentato il ginnasio di S.Salvatore a Pavia e poi entrato nella scuola pubblica, iniziò molto giovane ad affinare la sua innata passione per le scienze sperimentali. Nel 1825 morì, in tragiche circostanze, Giovanni Gorini. Per Paolo, saldamente legato alla figura paterna, e la sua famiglia, iniziò un periodo di grave difficoltà e ristrettezze economiche, ma questo non gli impedì di recarsi a Brescia per continuare lo studio della matematica, materia che esercitò una grande importanza nella sua successiva formazione ed iniziò a farlo conoscere nei gabinetti scientifici delle più importanti città lombarde. Nel 1828 terminò brillantemente gli studi al collegio Ghislieri di Pavia e nel 1833 ottenne la laurea dottorale in fisica e matematica. Nel 1834 avvenne la svolta che segnò per sempre la vita di Gorini: vinto un concorso pubblico per una cattedra di insegnante di scienze naturali si trasferì a Lodi, città alla quale rimase indissolubilmente legato per il resto della sua vita. E' qui che iniziò lo studio di quelle scienze che lo resero famoso al grande pubblico, la vulcanologia e la geologia prima e gli studi sulla mummificazione e la cremazione poi, ed è qui che si concretizzarono tutte le sue scoperte più importanti. Tra Gorini e la città di Lodi si instaurò un profondo legame, un sincero rispetto vicendevole, una lealtà reciproca che non venne mai meno. (Emblematico un episodio: nel 1857, quando Gorini rassegnò le dimissioni dal suo ruolo di insegnante, soprattutto per coerenza alle sue idee politiche - si rifiutò di insegnare in un collegio trasformatosi in Imperial Regio, sotto stretto controllo dell'autorità austriaca -, la municipalità di Lodi e i semplici cittadini intervennero in suo aiuto disponendo sussidi economici a suo favore).

La particolare, e per certi aspetti eccentrica, figura di Paolo Gorini si manifestò in tutta la sua peculiarità fin dagli albori della sua attività scientifica. Ad esempio, applicandosi nel campo della matematica, quella pura in particolare, affermò - anche se poi studiosi posteriori lo smentirono - di essere arrivato alla presunta soluzione dell'ultimo teorema di Fermat, annoso problema matematico che da lungo tempo affascinava studiosi di tutta Europa. Fu soprattutto nel campo della geologia, però, che Gorini iniziò a diventare noto al grande pubblico, conquistandosi il rispetto di eminenti studiosi del tempo. Totalmente isolato dal resto della comunità scientifica, soprattutto a causa di una situazione economica abbastanza precaria che lo impossibilitava sia a viaggiare che a comprarsi i libri dei più eminenti scienziati del tempo, e in rapporti abbastanza blandi con i gabinetti scientifici lombardi in particolare e italiani in generale, riuscì tuttavia ad applicarsi allo studio delle scienze della terra con grande dedizione e rigorosità. Si cimentò in un'originale teoria tettonica, compì numerosi studi e sviluppò teorie sull'orogenesi, ma soprattutto si cimentò nella "geologia sperimentale". Il concetto di fondo era molto semplice: apprese le nozioni ed i processi fondamentali della formazione delle montagne sarebbe stato possibile far nascere una montagna in laboratorio, seppur di dimensioni più modeste... Con queste sue stravaganti idee, seppur scientificamente rigorose, non tardò a farsi una nomea di scienziato "pazzo", sebbene a Lodi e dintorni il rispetto e la stima nei suoi confronti crescessero contestualmente al diffondersi delle sue teorie. Paolo Gorini scelse dimora eletta per i suoi esperimenti un laboratorio presso S. Nicolò, un posto "magico", ricco di suggestioni e atmosfere: lo scienziato lavorava immerso in un ambiente in costante penombra, circondato da crogioli e fornaci che ne mettevano a serio repentaglio l'incolumità quando esplodevano con fragorosi boati, liberando odori pestilenziali e sostanze di dubbia composizione.

Ingredienti delle alchimie di Gorini erano zolfo, elemento base al quale venivano aggiunti olii, estratti di limone, canfora, tabacco, cipolle, varie sostanze chimiche e... pezzi di cadaveri precedentemente trattati. Nonostante indubitabili "stranezze", Paolo Gorini seppe imporre le proprie teorie in campo geologico, creando veramente montagne e vulcani dal nulla, seppur di modesta entità e dimensione, semplicemente sperimentando e migliorando le sue teorie volta per volta (esistono fotografie e stampe d'epoca che testimoniano, in più occasioni, questi esperimenti tentati per le vie di Lodi, davanti agli sguardi esterrafatti e ammutoliti dei passanti).

 Proprio la sua crescente fama lo portò a stringere rapporti con il conte Luigi Cibrario, ministro di stato e segretario del re, che riuscì a fargli avere una pensione dall'Ordine dei Santi Maurizio e Lorenzo e il titolo di cavaliere dell'Ordine d'Italia. Anche grandi patrioti come Garibaldi, Bixio e Missori iniziarono a stringere stretti rapporti con lui. Più in generale, la sua fama lo portò sempre più in contatto con esponenti del notabilato lombardo, gente illustre e importante soprattutto negli ambienti scientifici. La nomea di personaggio stravagante però non lo abbandonava. Soprattutto bigotti in stretti rapporti con l'autorità ecclesiastica non perdevano occasione per criticare e denigrare la sua attività e ben presto iniziò anche a diffondersi la notizia che, bussando alla porta del suo laboratorio, si poteva venir accolti da una delle sue mummie...
Nel 1842 iniziò l'attività sperimentale finalizzata alla ricerca di un metodo scientifico che garantisse la conservazione dei corpi animali, cosicché fosse evitato il progresso di putrefazione. Per Gorini le potenzialità insite in una tale scoperta sarebbero state immense: si sarebbe potuto conservare integralmente un cadavere per scopi scientifici o di ricerca, si sarebbe potuto conservare la carne rendendola commestibile più a lungo, si sarebbe permesso ai congiunti di conservare l'immagine "viva" del caro estinto, si sarebbero potute creare delle "opere d'arte" da tramandare ai posteri. Occorre fare una precisazione: Gorini non si dedicò allo studio di veri e propri processi di imbalsamazione ( operazione tendente a conservare i corpi dopo la morte con procedimenti fisici, chimici e biologici mirati a sottrarre forti quantitativi di liquidi dal cadavere per inibire i processi di decomposizione, mantenendo il più possibile intatta la fisionomia) quanto allo studio e alla ricerca di un metodo di pietrificazione (sostituzione dei liquidi corporei con sali destinati a solidificarsi col tempo), giudicata migliore per raggiungere gli scopi che si era prefissato.

16 teste d’uomo e 5 di donna complete di occhi, pelle, denti, capelli, lingue; due di bimbi distrofici e idrocefalici; una di infante con chiazze angiomatose; una di neonato all’apparenza sano; il tronco completo di un soggetto acromegalico; e poi arti deformi, cuori, cervelli, cavità orbitarie, vasi del collo, articolazioni, vesciche, uteri, organi genitali.
(citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 




















L'intraprendere un'attività così particolare non poteva non creare una serie di problemi da risolvere. Si trattava innanzitutto di trovare un luogo abbastanza ampio, poco costoso, isolato dalla città e abbastanza vicino all'ospedale per potersi rifornire con facilità di cadaveri freschi. Ma problemi maggiori erano legati a questione di carattere sanitario e etico-religioso.


L'autorità sanitaria di Lodi non poteva tollerare che corpi di defunti e resti umani venissero maneggiati per stravaganti finalità scientifiche. Il rischio di causare epidemie era più che concreto e i divieti e limiti imposti all'attività di Paolo Gorini poterono essere superati solo con l'accondiscendenza di funzionari corrotti o l'aiuto disinteressato di medici, amici dello scienziato, che, sfidando le autorità, lo rifornivano continuamente.

Ma ben maggiore era l'opposizione della chiesa lodigana. Questioni di ordine etico venivano ribadite con forza per sostenere la "peccaminosità" degli atti empi perpetrati dal Gorini sulle spoglie mortali di coloro che in vita erano stati, nella maggior parte dei casi, cristiani credenti e praticanti. Le autorità ecclesiastiche non potevano tollerare quello scempio, contrario, a loro giudizio, ai dettami evangelici e, nell'impossibilità di fermare le ricerche scientifiche dello scienziato con argomentazioni religiose o morali, non esitarono a denunciarlo al governo austrico nel corso del 1843. Tuttavia, sul piano concreto, l'azione delle autorità si dimostrò più che altro simbolica e gli esperimenti di mummificazione poterono continuare, pur tra inevitabili problemi logistici da superare, mentre, nel contempo, si affinavano le alchimie e gli studi sulla pietrificazione. Gorini si riforniva all'ospedale di Lodi, riuscendo ad ottenere soprattutto i cadaveri di sbandati, vagabondi o poveri contadini le cui salme non venivano richieste dalle rispettive famiglie per la celebrazione dei funerali. Inoltre riuscì anche ad ottenere i corpi deformati dalle più svariate malattie di bambini e ragazzi, la cui pietrificazione sarebbe poi servita, a suo giudizio, per creare modelli anatomici per lo studio e la ricerca.

Sono 131 reperti, inclusi 6 corpi di neonati mummificati, di cui due a braccia conserte, in opposizione alle dita intrecciate dell’eterno riposo cristiano, forse per celebrare la morte laica figlia degli ideali positivistici e massonici dell’Ottocento, e uno in ginocchio, a mani giunte, forse per invocare un battesimo di desiderio che scampasse l’infelice vittima dal limbo. (citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 

Proprio per questo motivo riuscì ad accattivarsi le simpatie di alcuni medici ed infermieri che, sfidando in più di un'occasione le autorità, non smisero mai di aiutarlo, sostenendo come meglio potevano la sua attività di ricercatore, soprattutto per le indubbie finalità pratiche che questa avrebbe potuto arrecare al mondo scientifico. Col tempo gli studi e gli esperimenti sulla pietrificazione raggiunsero livelli molto elevati, tanto che Paolo Gorini poteva a buon diritto vantarsi di aver raggiunto i suoi scopi: garantire l'integrità dei corpi e preservare molto a lungo nel tempo la mummificazione. Il sistema per arrestare la putrefazione dipendeva molto dalla capacità di agire sui liquidi organici del corpo, alterandoli chimicamente.

Il procedimento di pietrificazione può essere sintetizzato in questi punti fondamentali:

1) Definizione delle sostanze più idonee al fine preposto, da scegliersi accuratamente in quantità e dosaggio adeguato ai corpi da pietrificare.
2) Sperimentazione su parti di cadavere del procedimento per poi passare alla pietrificazione vera e propria sul corpo intero.
3) Immersione del corpo, per un periodo variabile di diversi giorni, in un liquido particolare contente i sali per la pietrificazione, affinchè questi siano assorbiti dai tessuti, sostituendosi lentamente ai liquidi organici.
4) Conservazione, della durata massima di parecchi mesi, dei corpi così trattati. Questi si dimostravano flessibili e sezionabili per molto tempo, non presentando i sintomi tipici di rigor mortis.
5) Per arrivare alla pietrificazione vera e propria il cadavere doveva essere essicato, dopo aver causato, attraverso vari procedimenti chimici, una drastica diminuzione del volume corporeo.

L'opera di Paolo Gorini non tardò ad avere una certa eco anche fuori dai ristretti confini lodigiani. Ne è prova il fatto che venne chiamato più volte a mummificare le spoglie di personaggi molto famosi: mons. Gaetano Benaglia, ex vescovo di Lodi, da sempre affascinato dalle arti di Gorini nonostante il suo importante ruolo all'interno della chiesa, e Giuseppe Mazzini. Nel 1872 Gorini iniziò a mutare prospettiva: dopo una vita dedicata a scoprire i mezzi più adatti ad evitare lo scempio della decomposizione dei cadaveri ricorrendo a complicati procedimenti che mantenessero contemporaneamente i corpi nel modo più similare possibile al loro spetto in vita, decise di trovare il modo di distruggere le spoglie umane prima del sopraggiungere della putrefazione. Dapprima inventò un "liquido plutonico" che sciogliesse letteralmente i corpi, ma questo procedimento venne presto abbandonato perchè esageratamente costoso e troppo complicato da realizzarsi, poi si dedicò allo studio delle tecniche di cremazione/combustione, arrivando anche ad inventare e brevettare il moderno forno crematorio. L'interesse goriniano in questo campo non è da ascriversi a sole preoccupazioni scientifiche, ma a più sostanziali questioni igienico-sanitarie. Trovare un metodo per scongiurare il sovraffollamento delle salme nei cimiteri e per preservare la città dei vivi da quella dei morti (dopo l'editto di Saint Cloud del 1804 era fatto obbligo ai comuni di costruire i campisanti oltre il recinto delle abitazioni, ma, a fine Ottocento, erano ancora molto numerosi le città e i paesi che avevano i cimiteri accanto alla piazza principale o di fianco alla chiesa parrocchiale) era avvertito da Gorini come una sorta di dovere morale al quale lui, come scienziato, non poteva sottrarsi, soprattutto per le grandissime implicazioni sociali e igieniche in gioco. Decisi ostacoli alla sua opera e alle sue ricerche vennero ancora una volta dall'autorità religiosa. Era inconcepibile che un dono di Dio, le spoglie mortali un tempo animate dal soffio vitale dell'anima, fossero annientate in questo modo. Inoltre anche più sostanziali considerazioni di ordine teologico rischiavano di essere messe seriamente in dubbio ammettendo la legittimità della cremazione. Tuttavia i progressi fatti da Gorini in questo campo non si arrestarono: nel 1875 venne eseguita a Lodi la prima cremazione e il 6 settembre del 1877 venne inaugurato al cimitero di Riolo il Crematorio Lodigiano, primo esempio concreto di forno crematorio moderno. Oltre le sue esperienze in campo scientifico, Gorini fu attivo patriota durante il periodo Risorgimentale. La sua salute malferma gli impedì di prendere parte attiva alle battaglie contro gli austriaci, ma non per questo rimase estraneo alle attività cospirative. Intellettuale più che uomo d'azione, non esitò a proporre teorie e ad ideare strategie di lotta, soprattutto nel 1848 quando prese parte, elaborando un modernissimo e complicato sistema di mine "radiocomandate", alla difesa di Lodi dopo la riconquista austriaca di Milano. Il suo ideale politico era grandemente influenzato dalle teorie mazziniane, delle quali accettava e approvava soprattutto l'idea di un'Italia unita e laica, ma nutriva sincere simpatie anche per Garibaldi, sebbene rigettasse alcune posizioni troppo "socialisteggianti". Un'altra caratteristica di Gorini fu il suo dichiarato laicismo. Profondamente scettico alle verità di fede e spinto alle più estreme posizioni dell'ateismo, per questo motivo non tardò ad inimicarsi i membri della chiesa cattolica lodigiana che, soprattutto dopo la sua morte, si scagliarono con forza contro il suo operato e le sue ricerche. A complicare il quadro probabili contatti con gli ambienti massonici lombardi, anticlericali per eccellenza. Occorre fare una precisazione: non esistono documenti comprovanti i rapporti tra Gorini e la Massoneria, ma una simbologia di chiaro stampo massonico presente sulla sua tomba dovrebbe essere certa testimonianza di legami intercorrenti tra frange della Massoneria milanese e lo scienziato lodigiano. Comunque sia, anche se solo voci, le posizioni ideologiche di Gorini erano motivo di scandalo per i benpensanti e bigotti ambienti religiosi della bassa Lodigiana, ulteriore bersaglio dei violenti e sterili attacchi del clero di Lodi.

Con la fine degli anni Ottanta l'attività scientifica e sperimentale di Paolo Gorini si insterilì progressivamente e, anche se fu costantemente e attivamente impegnato su più fronti, un lento ed inevitabile declino fisico lo portò alla morte il 12 febbraio 1881, e fu bruciato nel forno crematorio di sua invenzione, il primo costruito in Italia, nel cimitero della frazione di Riolo a Lodi .



La sala dai soffitti riccamente affrescati nel 1593 da G.C. Ferrari contiene la collezione dei preparati.












Lo splendido soffitto affrescato a grottesche venne eseguito da Giulio Cesare Ferrari nel 1593. L'autore di tale opera d'arte non ha lasciato di sé altre testimonianze, alla luce delle ricerche svolte. Tuttavia si ritiene che egli fosse allievo dell'emiliano Baglioni e il Timolati ebbe a sostenere che l'affresco, di vaste dimensioni, non potesse essere opera di una sola mano. Nacque così l'ipotesi che l'autore, Giulio Ferrari, fosse stato aiutato nel completamento dell'opera dal fratello Cesare, anch'egli artista. Le scene di caccia, i ludi e le immagini ancora ricche di favolistiche atmosfere e di sentori mitologici vennero restaurate nel 1981 dall' architetto Renato Girardi di Monza e conservano ancora lo splendore originario.
(citazione da: http://www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDCategoria=617&IDNotizia=165)
 

A vegliare i senzanome, i loro arti, i loro visceri, le loro deformità, restano solo le grottesche affrescate da Giulio Ferrari alla fine del ’500 sul soffitto della Sala Capitolare, ispirandosi alle mostruose allegorie di Hieronymus Bosch e agli storpi di Bruegel il Vecchio: portantini che trasportano defunti sulle barelle, satiri, scene della distruzione del quartiere ebraico di Roma, pipistrelli, insetti, volpi. (citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1)







Nel 1872 fu convocato a Pisa per la preparazione di Giuseppe Mazzini. Un giorno per ricevere il telegramma, un giorno per il viaggio: quando arrivò, il fondatore della Giovine Italia appariva sfatto, “era verde, una vescica zeppa di marcia”, come annotò Dossi. Gorini fece del suo meglio e il risultato, insperato, si poté vedere nel cimitero genovese di Staglieno nel 1946, all’apertura della bara di Mazzini in occasione della nascita della Repubblica. Eccellente fu l’esito conseguito sul cadavere dello scrittore Giuseppe Rovani, pietrificato e tumulato in un colombario del Monumentale di Milano».
«Mazzini pietrificato, reso eterno nella carne fatta marmo, rappresenta la prima vera icona politica. Il positivismo diventa scientismo, una religione laica, che ha bisogno del mistero come tutte le religioni. E il mistero è una formula non rivelata attraverso la quale si crea una reliquia laica».
(citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 
Lettera di Paolo Gorini indirizzata all'Associazione dei liberi studenti Genovesi
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Fonti:
http://www.museogorini.com
www.daltramontoallalba.it
http://gorini.ath.cx/testi/3articolo-Stroppa.html
www.ilcittadino.it/p/notizie/cultura_e_spettacoli/2011/02/27/ABRusgH-gorini_ricordarlo_memoria_ritrovata.html
www.asl.lodi.it/pages/museo%20gorini/1.htm
www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDNotizia=512&IDCategoria=680
www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDNotizia=514&IDCategoria=680


sabato 5 maggio 2012

Chiesa di San Francesco - complesso

Indirizzo: Piazza San Francesco -Lodi (LO)

Tipologia generale: architettura religiosa e rituale

Tipologia specifica: chiesa

Epoca di costruzione: post 1252 - ante 1290

Autore: Besia Gaetano, ristrutturazione; Ferrabini Pietro, restauro; Galeotti, decorazione

Uso attuale: intero bene: chiesa

Uso storico: intero bene: destinazione originaria

Condizione giuridica: proprietà Ente religioso cattolico


La chiesa di san Francesco è uno dei principali monumenti medievali della città di Lodi.
Le sue origini risalgono al 1252, quando il vescovo di Lodi Bongiovanni Fissiraga reintroduce in città i frati Minori, già espulsi pochi anni prima per intolleranza della fazione ghibellina, e assegna loro la piccola chiesa di S. Nicolò. Pochi anni dopo, presumibilmente a partire dagli anni ottanta, i frati iniziavano la fabbrica della nuova chiesa, i cui lavori dovevano essere già a buon punto nel 1290 quando vi furono accolte le spoglie del vescovo Bongiovanni. Sostenitori dell’impresa furono il guelfo Antonio Fissiraga (forse nipote del vescovo) e la moglie Flora dei Tresseni. Verso il 1316 ca il maestro della tomba Fissiraga dipinse la Madonna in trono col Bambino tra san Nicola, san Francesco e il committente dei lavori Antonio Fissiraga.
Verso la fine del '300 i Maestri "di Ada Negri" e "delle storie di Santa Caterina" lavorano in San Francesco. Fine del secondo decennio del '400: il maestro del Libro d'Ore di Modena e Michelino da Besozzo. Nel 1476 ebbe inizio la decorazione della cappella di San Bernardino, con le Storie che prendono ispirazione dalla vita del santo che fu scritta nel 1453 dall'umanista lodigiano Maffeo Vegio. Metà del '500: il Soncino dipinse la cappella Bonomi e l'Immacolata Concezione con santi e un donatore.
1589: Malosso dipinse la tela Sant'Antonio da Padova incontra Ezzelino da Romano per la cappella Fissiraga. 1601: Sollecito Arisi dipinse la tela San Francesco che riceve le stigmate nella cappella Cadamosto. 1605: Camillo Procaccini dipinse le tele ispirate alla vita della Vergine per la cappella dell'Immacolata Concezione. 1632: il Talpino interviene nella cappella della Beata Vergine di Caravaggio con la Fuga in Egitto e la Presentazione al tempio. 1730: il coro e la cappella di San Pietro d'Alcantara furono affrescate da Sebastiano Galeotti (ora cappella Sant'Antonio Maria Zaccaria).

Configurazione strutturale: Edificio con struttura a pareti in laterizio intonacata, pianta a croce latina, costituita da una navata maggiore e due laterali separate da arconi a tutto sesto, con transetto rettilineo poco profondo lungo il cui lato orientale si aprono due cappelle per lato; lungo le navate minori si aprono cappelle variamente articolate. Tutte le navate sono coperte da volte a crociera costolonate rette da 14 ampie e possenti colonne in laterizio, cui corrispondono altrettante semicolonne, sempre in laterizio, sulle pareti; monofore reali o tamponate permettono l'illuminazione naturale dell'interno.
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L'interno, a croce latina, è composto da tre navate. La facciata con il rosone centrale e due bifore "a cielo aperto"della facciata, rappresenta il primo esempio di un modello che tra Trecento e Quattrocento si diffuse in tutta l'Italia settentrionale. Attiguo alla chiesa vi è il Collegio dei Barnabiti, a cui la chiesa passò già dal 1840, con un chiostro del '600.


Comprende
  • Chiesa di S. Francesco, Lodi (LO)
  • Sacrestia della Chiesa di S. Francesco, Lodi (LO)

Descrizione:
rosone marmoreo
La facciata, incompleta nella parte superiore, venne aggiunta al corpo dell'edificio forse dopo il 1312, data dell'ultima donazione effettuata da Antonio Fissiraga prima del suo arresto ad opera dei Visconti nel 1316. Costruita interamente in cotto, è scandita in tre campi da due possenti semicolonne addossate. In quello centrale, oltre al rosone marmoreo aperto quasi due secoli dopo, si staglia il portale archiacuto, con semicolonnine a fascio, cui si addossa il protiro, anch'esso frutto di aggiunta posteriore. Nei campi laterali, sopra gli ingressi, si apre una monofora a tutto sesto sormontata da una bifora archiacuta "a vento",


 bifora archiacuta "a vento"
 che lascia cioè intravedere il cielo (la parete della facciata supera infatti il colmo delle navate).


Questa particolare tipologia è ricorrente nell'architettura gotica lombarda, come dimostrano il S. Bassiano di Lodi Vecchio, il duomo di Crema e il S. Agostino a Cremona.


L'interno, dalla pianta a croce latina, richiamo del pavese S. Francesco, è a tre navate, costituite da quattro campate (di cui la prima più stretta) ad andamento alternato, in maniera tale cioè che alla centrale ne corrispondono due laterali. Massicci piloni cilindrici in cotto (simili a quelli del duomo cittadino), terminanti con capitelli in pietra dalla decorazione vegetale o antropomorfa,
sostengono le volte costolonate a sesto acuto. Il transetto è costituito da tre campate quadrate, ciascuna di misura identica a quelle della navata centrale. Lo stesso modulo si ripresenta nel coro, mentre ognuna delle quattro cappelle che lo fiancheggiano ha le medesime dimensioni di ciascuna campata nelle navate laterali.

La chiesa è giustamente celebrata anche per il suo ricco corredo pittorico che si snoda quasi ininterrottamente su pareti, volte e piloni. Le testimonianze più antiche, databili verosimilmente entro il secondo decennio del Trecento, si estendono sulle volte della terza campata nella navata centrale e sulla crociera mediana del transetto. Riecheggiano nei motivi decorativi la miniatura bolognese e la pittura veneta di fine XIII secolo mentre, nella volumetria delle figure e nell'attenta resa spaziale e prospettica, traspare la lezione giottesca che è interpretata secondo un realismo tipicamente lombardo.

Antonio Fissiraga
Parallelamente al Maestro della tomba Fissiraga opera un altro pittore d'estrazione lodigiana, attivo soprattutto nel S. Bassiano di Lodi Vecchio (per cui ne deduce il nome di Maestro di S. Bassiano), a cui si devono numerosi affreschi votivi: il San Nicola sul quarto pilone di destra, il Battesimo di Cristo sul sesto della medesima navata, la Madonna in trono con Bambino sul settimo pilone sinistro.
A queste testimonianze, dall'impianto compositivo maggiormente semplificato e dai modi più arcaicizzanti, è stato recentemente aggiunto il semplice affresco con i Funerali di Antonio Fissiraga in cui il protagonista indossa l'abito francescano. Da queste opere si svilupperà, per tutto il Trecento, una scuola locale che riproporrà le innovazioni dei due Maestri.
Funerali di Antonio Fissiraga




Alla fine del secolo si collocano invece alcune testimonianze di elevata qualità, che risentono fortemente dell'operato di Giovannino de' Grassi e del gusto proprio del Gotico Internazionale, diffusosi ampiamente nel ducato di Milano. Sull'arco d'ingresso della cappella di S. Bernardino (terza a destra) lo Sposalizio mistico di santa Caterina anche se mutilo, rivela un'estrema ricercatezza formale, che si attua in forme esili e allungate e in una stesura cromatica modulata e impreziosita da un copioso impiego di oro. Contemporaneo e culturalmente affine è il Maestro di Ada Negri, a cui si devono la Madonna col Bambino sul secondo pilone a destra, e la Visitazione sul terzo, sempre di destra. Nel primo esempio istanze miniaturistiche si esplicitano nell'incorniciatura e nel raffinato decorativismo degli abiti, mentre nel secondo si unisce anche una stesura cromatica piatta che riduce la volumetria dei singoli personaggi.

(http://lodiantiqua.webnode.it/lodi-antiqua)

Colonna della cappella Vignati nella controfacciata di sinistra
Notizie storiche
Le notizie più antiche attestanti la presenza in città dei frati minori risalgono al 1224, anche se solo vent'anni dopo questi furono costretti ad allontanarsi in seguito agli scontri tra le autorità comunali, schierate con lo scomunicato imperatore Federico II e il clero. Soltanto nel 1252, quando papa Innocenzo IV ripristina la sede vescovile, possono rientrare in città e viene loro concessa dal vescovo Bongiovanni Fissiraga la chiesa di S. Nicolò con le annesse proprietà già della famiglia Pocalodi. Probabilmente a partire dagli anni Ottanta, grazie all'intervento del capo della lega guelfa Antonio Fissiraga (forse nipote del vescovo), si iniziano i lavori per la costruzione della nuova chiesa, essendo ormai il S. Nicolò troppo piccolo per l'elevato numero dei frati presenti. La costruzione doveva già essere a buon punto nel 1290 se vi fu sepolto il vescovo Bongiovanni e pressoché terminata agli inizi del Trecento, come suggerito dalla data 1304 presente in un'iscrizione scolpita sul rilievo raffigurante sant'Antonio collocato nel pilastro centrale del transetto di destra che, insieme al corrispettivo di sinistra con san Francesco, fu eseguito da fra' Delay de Brellanis da Lodi. Numerose nobili famiglie lodigiane posero le loro sepolture in S. Francesco, ottenendo il patronato delle varie cappelle aperte sul fianco sinistro a partire dal XIV fino al XVIII secolo, divenendo così i committenti dei numerosi affreschi e tele che ne ornano le pareti e gli altari. Costituisce un esempio particolare la seconda, o di san Bernardino, ricavata nel 1477 dalla demolizione del campanile già costituito dalla torre dei Pocalodi, precedentemente inglobata nell'edificio religioso. Gli interventi più sostanziali si ebbero però nel xvii secolo, quando si chiusero le bifore absidali e si rifece la decorazione di alcune cappelle, arricchite con stucchi e dorature.

Madonna della provvidenza, opera di Maria Conca (1933)
La trasformazione barocca della chiesa proseguì ancora per tutto il Settecento, in particolare con il rifacimento del coro con decorazioni architettoniche illusionistiche nel 1740. Con la soppressione del convento nel 1810, la chiesa divenne sussidiaria della parrocchia del Carmine, e così rimase fino al 1842, quando fu ceduta ai padri barnabiti che già dieci anni prima si erano stabiliti nel convento.


Trovandosi l'edificio in precarie condizioni, fu necessario un imponente restauro affidato agli architetti milanesi Ambrogio Nava e Carlo Maciachini e ai pittori Martino Knoller e Giuseppe Bertini, che comportò il rifacimento del tetto, la chiusura di alcune cappelle e l'integrazione di brani pittorici tre-quattrocenteschi. Sugli affreschi si intervenne nuovamente a partire dal 1960 con una vasta campagna quasi ventennale, che prendendo il via dalla navata di destra ha successivamente interessato tutte le altre superfici dipinte.

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Questo libro che mi è stato donato (20 novembre 2011), raccoglie foto e testi che danno risalto a questo gioellino medievale di Lodi.
La pubblicazione, edita dalla Fondazione della Banca Popolare di Lodi, costituisce quasi il seguito del volume dedicato al tempio dell'Incoronata del 2010.
Testi di Monja Faraoni
Foto di Antonio Mazza


... Vale comunque la pena di fare 4 passi a Lodi per vedere l'antico tempio
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Fonti:
www.podilombardia.it
www.lombardiabeniculturali.it