lunedì 30 marzo 2015

La fornace del Sandone


La fornace del Sandone, prende il nome dalla cascinetta che vi sta davanti.

Costruita nella seconda metà dell'Ottocento, quì vi  furono cotti tutti i mattoni con i quale fu fatto il grande sotto-passaggio della ferrovia, tuttora perfettamente a posto, a dimostrazione di un lavoro ben fatto e rigoroso.

Anticamente le fornaci erano adibite alla cottura dei materiali argillosi, quali laterizi, vasi, statue.
Nel Lodigiano l'uso delle fornaci ha tradizioni lontane, probabilmente legato già alla cottura del vasellame della cultura protovillanoviana, dei cosiddetti "campi d'urne", tra Miradolo, S. Colombano al Lambro, Graffignana (1200 a.C.). Testimonianze posteriori si hanno poi coi "tegoloni" delle tombe gallo-romane, di cui alcuni sono conservati nei musei di S. Colombano e di Lodi.

È senz'altro il periodo romano che determina l'affermarsi dell'uso delle fornaci nel Lodigiano: territorio privo di pietra naturale da costruzione, si deve basare sulla "pietra artificiale" cotta, per erigere manufatti ed edifici. Altra componente primaria di tutto ciò è la presenza, in questa zona, nel primo sottosuolo, di filoni argillosi. 

I mattoni in cotto ben conservati della Fornace Sandone che costituiscono l'intera copertura delle pareti del sotto-passaggio della linea ferroviaria di Lodi

Le argille dominano per una vasta striscia che serpeggia da Zelo Buon Persico a Paullo, a Mulazzano, proseguendo poi per Tavazzano, Lodi Vecchio, sino alla costiera del Lambro, toccando S. Angelo Lodigiano e Borghetto Lodigiano. Un altro filone segue la linea del Brembiolo: Brembio, Zorlesco, Casalpusterlengo, Somaglia. Un'altra vena di argille, dette "litone" di Po, si trova tra Senna Lodigiana e Orio Litta, argille molto pure usate per stoviglie e lavori particolari e argille meno pure usate per lavori ordinari: mattoni. 

Indiscussa e ricca la produzione di laterizi e vasellame in epoca romana. Tradizione che si consolida e prosegue poi nelle epoche successive: "i tegoloni" di epoca longobarda, i "cotti" delle abbazie benedettine e cistercensi. 

Il camino della fornace, l'unico manufatto dell'intero complesso che è ancora visibile

Di una fornace, sull'antico corso della Venere, tra Lodi Vecchio e Tavazzano, si parla in un documento del 1221 e può aver avuto un ruolo nelle ricostruzioni di Laus nel periodo delle lotte comunali con Milano. Un'altra è stata attiva fino a non molto tempo fa tra Lodi Vecchio e Salerano al Lambro. Una fornace ebbero i cistercensi di Valera per i bisogni della loro estesa possessione ed è probabile che ne avessero una anche quelli del Cerreto. 

Un'altra fornace di laterizi di notevole importanza, di proprietà del duca Francesco Sforza di Milano, si trovava appena fuori la città di Lodi, presso l'Adda, prima del 1452. 

Tra Cinquecento e Seicento si evolve la tradizione delle maioliche e ceramiche a Lodi, industria legata al laterizio. 

È un vasaio e fornaciaro casalese, secondo la tradizione, nel secolo XVI a costruire, plasmandola con l'argilla e cuocendola in fornace, la statua di buona fattura della Madonna dei Cappuccini di Casalpusterlengo. Nel 1524 per l'erezione dell'oratorio di S. Rocco di Dovera fu preparata e attivata una fornace di laterizi nelle vicinanze: infatti alcuni campi della zona portano ancora la denominazione di "fornace". 

Il laterizio ed il cotto sono protagonisti indiscussi dell'architettura lodigiana. A Lodi le varie fornaci fuori porta Adda sono derivate dall'editto del 30 marzo 1728 del Senato di Milano che ordinava di trasportare fuori città le fornaci di maioliche, calce, mattoni ed altri laterizi, perché spesso minacciavano incendi. 

È probabile che per l'erezione di grandi complessi agricoli (cascine) si facesse ricorso alla costruzione di fornaci nelle immediate vicinanze: fornaci di tipo "a pignone" semplici, ma funzionali. 

Le fornaci classiche tuttora in parte visibili sono di tipo "Hoffmann" con un'alta ciminiera centrale o laterale all'edificio. Sulle cosiddette "coste" tra Casalpusterlengo e Somaglia ebbe sede alla fine del secolo scorso una delle più grandi fornaci di laterizi in Lombardia, una fornace di tipo "Hoffmann" a doppio fronte di fuoco, nella quale si fabbricarono direttamente su licenza francese, le tegole piane tipo "marsigliese" e una buona gamma di tipi di laterizio leggero: i forati. 

Irrecuperabile, ciò che è rimasto dell'intero complesso della fornace, immerso nella boscaglia

È tradizione che la maggior parte dei lavoratori di laterizio in fornace, i cosiddetti "lottaroli" (da "lota", in linguaggio locale argilla), provenisse proprio dalla zona tra Brembio-Zorlesco-Casalpusterlengo. 

Tra le fornaci, ormai inattive, ancora presenti è possibile citare la fornace di Sandone a Lodi, costruita nella seconda metà dell'Ottocento, la fornace Bravi a Corno Giovane, la fornace Tarenzi a Codogno, la fornace Biancardi a Zorlesco. 

Col toponimo di "fornaci" si rilevano nel Lodigiano, oltre vari campi, alcune cascine e frazioni: ad esempio, frazione Fornaci di Borghetto Lodigiano, di Terranova Passerini, frazione Costa Fornaci tra Casalpusterlengo e S. Martino Pizzolano, cascina Fornaci di Vittadone di Casalpusterlengo, cascina Fornace di Castelnuovo Bocca d'Adda, di Turano Lodigiano, di Cerro al Lambro, di S. Zenone al Lambro, di Corte Palasio, di Lodi Vecchio, di Salerano sul Lambro, cascina Fornasotto di Galgagnano, cascina Fornelli di Secugnago. 

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Fonte:
Testo di Giacomo Bassi in: Ercole Ongaro, Il Lodigiano. Itinerari su una terra costruita
Edizioni Lodigraf, Lodi, 1989.














domenica 15 marzo 2015

Palazzo Calderari a Turano Lodigiano (LO)

Indirizzo: Via Giuseppe Garibaldi, 50(P),66,64,62,60,58,56,54,52 (Nel centro abitato, in posizione dominante) - Turano Lodigiano (LO)

Tipologia generale: architettura fortificata
Tipologia specifica: castello
Epoca di costruzione: post 1675 - ante 1723

Uso attuale: intero bene: abitazione/ spazio espositivo
Uso storico: ala ovest: abitazione; intero bene: palazzo nobiliare
Condizione giuridica: proprietà privata

Il Palazzo Calderari, che sorge nel paesaggio agrario di bellezza pressochè intatta del Parco Adda Sud, è una trasformazione tardo-barocca del castello di Turano, che fonti storiche documentano già nell'VIII secolo, e che venne raso al suolo dagli Ungari nel X secolo. Su quelle fondamenta, ancora in parte riconoscibili nella struttura "a scarpa" del basamento, venne edificata la sontuosa villa di delizie dei marchesi Calderari, investiti del feudo di Turano dal 1675.

La proprietà passò successivamente di mano, prima ai Cima e dal 1853 ai Pitoletti, nobile famiglia che già possedeva a Lodi lo splendido palazzo già dei Modegnani. L'edificio fu assegnato come dote monacale alle sorelle Adalgisa ed Adelaide Pitoletti, entrate a far parte dell'ordine delle Canossiane, che ne presero possesso nel 1889, e vi istituirono attività assistenziali e caritative, fra cui un istituto per la cura e la rieducazione delle fanciulle sordomute.

Le Canossiane vi rimasero fino a non molti anni fa, quando cedettero il complesso, in stato di grave degrado, agli attuali proprietari, che dal 1996 vi hanno intrapreso un'intensa opera di restauro conservativo, i cui risultati hanno permesso il recupero del primitivo splendore, sia all'esterno che negli ambienti interni. In assenza di riscontri documentali, è difficile assegnare una paternità all'architettura dell'edificio, che presenta caratteri abbastanza simili ad altre ville di delizie dei secoli XVII e XVIII esistenti nel territorio (villa Barni di Roncadello, Palazzo Carcassola di Comazzo, Rocca Brivio di Melegnano).


L'edificio è a pianta quadrangolare, costituito da quattro corpi fabbrica che al pianterreno presentano su ciascun lato un portico a tre arcate, aperto sul cortile.
Le facciate, sia esterne che interne, sono estremamente semplici ma armoniose: la superficie muraria, i cui intonaci sono stati ripristinati, è scandita da due file di finestre nell'ala padronale, e da tre file di finestre più piccole nelle ali laterali.
La facciata principale è ornata da quattro meridiane affrescate abbastanza curiose, che recano i segni zodiacali delle quattro stagioni.

Spicca l'elegante arabesco decorativo dei ferri battuti di alcuni balconi, della lunetta che sovrasta il portale di accesso


e della ringhiera della scala che mette in comunicazione il piano terreno con l'ampio giardino sul lato orientale della villa.
Al pianterreno l'ala centrale consta di tre sale per parte, simmetricamente allineate a destra e a sinistra del salone centrale, tutte affrescate (nelle sopraporte e nei soffitti) con motivi di finte architetture a "trompe-l'oeil", medaglioni racchiudenti paesaggi, scene storiche o allegoriche, busti all'antica.


Assai bello è il monumentale scalone d'onore a doppia rampa, purtroppo mutilato della balaustra in marmo a colonne.

Il corpo centrale, che corrisponde all'appartamento di rappresentanza, è su due piani e presenta un sopralzo sovrastante l'immenso salone delle feste del piano nobile, che è quindi a doppia altezza.



Anche quì la decorazione è settecentesca; il salone da ballo è decorato da importanti affreschi a tema mitologico sulle pareti e nella volta.
L'interno restaurato ed adibito a sala ricevimenti

L'appartamento è stato internamente restaurato, eliminando le ridipinture più tarde che ne rendevano difficile la lettura.




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Fonte: opuscolo giornate FAI di primavera 2014
Testo: Maria Emilia Moro